Ecco il racconto del Sig. Mimmo Tardio che ha vinto il primo posto del nostro concorso ‘ Un ricordo del Five Roses’. Grazie infinite a lui per averci regalato un suo preziosissimo ricordo! Buona lettura e Buon Natale a tutti!
LA SPARACINA
di Mimmo Tardio
Siamo in una vecchia e nobiliare casa dell’alto Salento, ha le volte del soffitto molto alte, è immensa, un tempo è stata dimora d’alti prelati. La cucina ha per pavimento delle chianche bianche, di pietra viva, sopravvissuta ai secoli. E’ molto spaziosa. Siamo negli anni cinquanta del Novecento… E’ una classica cena della vigilia di Natale. Ecco ora entra mia madre, ha nel viso un che di orgoglioso, esibisce un grande piatto fumante con dentro una miriade di bucatini, affogati in tante cozze nere, molte ancora nel guscio. La numerosa famiglia attende, siamo in sette e tutti osserviamo estasiati quel fumo che continua ad uscire, copioso, dal piatto; ma è l’odore delle cozze nere, mitigato dai pomodoretti che mamma ha aggiunto, a catturare alla fine i nostri sensi. Siamo tutti seduti a tavola in davvero religioso ed osservante silenzio, mamma posa il grande piatto e papà si appresta a dire la consueta preghiera augurale…Noi più piccoli scalpitiamo e le ultime lettere, nelle risposte all’orazione religiosa, le sfumiamo, tanto siamo impazienti per il desinare; nelle nostre nari quel profumo ha scavato desideri e piaceri che è troppo poco chiamare “fame”. Ha inizio finalmente la dispensa dei bucatini : è un cicaleccio fervoroso ed allegro quello che circonda mamma; il grande piatto ondeggia, l’odore delle cozze si effonde, tutta la tavolata ne sembra pervasa, finchè finalmente anche l’ultimo di noi non riceve la giusta ed agognata porzione. Mangiamo, finalmente guadagnando un più consono silenzio. Seguono poi i polipi fritti, un capitone tirato al sugo rosso; il tutto allietato da piccole aragoste e da “franfullicchi”, ovvero pesciolini bagnati con l’aceto e passati in farina. Poi papà, nel mezzo del convivio famigliare, infila in una fresca bottiglia di vino rosato un mazzetto di tenero sedano, lo preme nel suo collo, dal quale alla fine fuoriesce solo una parte del suo verde fogliame. La bottiglia, di vetro doppio, contiene un profumato rosato, lasciato prima a rinfrescarsi nel secchio posto nel grande pozzo d’acqua sorgiva, sotto il grande albero di “percoche” del giardino. E’ un rosato, “Five Roses”, un vino di Salice salentino, imbottigliato da “Leone de Castris”; papà lo compra durante i suoi giri a Lecce, a bordo delle Ferrovie del Sud-est. Poi egli riempie abbondantemente i due bicchieri, per se’ e per mamma, e poi avvicina alla bocca la bottiglia di vetro e beve, oh come beve, in modo curioso, inconsueto, anche sconveniente…Gli è che egli aspira, anche con forza, “surchia” dalla bottiglia quel nettare rosato e fresco, tanto che alla fine papà emette come un giubiloso piacere, esibendo sfrontata quella sua strascinata e teatrale “ahhhhhhh”, cui segue un roteare del capo curioso, che tutti associamo ai suoi momenti di piacevole incontro con il vino. E’ un “giulebbe” candido ed infantile, come un dispiegarsi del suo umore verso lidi più sereni. Papà è al centro della scena, siamo tutti fermi a guardarlo, proprio mentre la sua profonda aspirazione dalla bottiglia di vino ha immesso per noi, nell’aria, quella miscela incantevole di vino e sedano, quel connubio tra la terra rossa del nostro solare Salento e le lunghe schiere di vite delle nostre campagne, che in quell’antico gesto di papà trovano il più sensuale dei matrimoni. Poi proprio io mi avvicino a papà, gli pietisco una piccola bevuta, da quel pertugio incantevole che deve essere il collo della bottiglia; papà resiste, solo un po’, poi mi prende sulle sue gambe e mi fa “surchiare”, lentamente, sì che il vino non mi vada nel naso. Ho anche io tra le mani e poi bevo finalmente, aiutato da papà, da quella bottiglia magica, quel vino rosato, incantevole, profumato, che intuisco alluda a fruttati dolcissimi; sa di freschezza ma anche di turbinosa vita adulta, lo sento come un divenire grandi, un avvicinarmi di già ad un rito d’altra età. Questo penso, proprio mentre mia madre mi preleva dalla gambe di papà per accertarsi del mio stato. Sto bene e proprio mentre mamma mi porta a letto, vedo, già in lontananza, gli altri fratelli avvicendarsi al rito della “sparacina”, quando io già mi insinuo tra le braccia di Morfeo, già prima che sul materasso. E mi porto in quel mondo dei sogni quell’inebriante vino rosato e quel velo di frescura sulla bottiglia, i verdi gambi del sedano e la vista ed il sapore della fantasmagoria del piatto delle cozze fumanti… E tutto ciò lo avverto come un sortilegio, come una dolce alchimia donataci dal supremo fattore ad allietare i nostri convivi famigliari. Questo ancora ricorda il bambino che sono stato, con grande tenerezza, serbando nel cuore quell’incanto di religiosa convivialità, d’un Natale di oltre mezzo secolo fa. Che ancora fa bene dentro raccontarlo.
mimmotardio@alice.it